Il cammino nel deserto (Numeri 11-21)

Prof. don Blažej Štrba

Trascrizione della riflessione offerta dopo l'escursione ad Har Karkom il 30 marzo 2019

Vorrei ripercorrere con voi quei passi del libro dei Numeri che nei capitoli centrali, da 11 a 21, presentano il cammino nel deserto dopo la partenza dal Sinai. In questi capitoli si narra di eventi, quali lamenti, mormorazioni, ribellioni, lamentele, problemi, che divennero per i Padri esempi per la vita cristiana.

In Nm 11-21 sono presentati 38 anni di cammino nel deserto. In Nm 33, quasi alla fine del libro, si dice che, durante il cammino, ci sono state 40 fermate o soste, che vengono elencate a formare un itinerario. Di queste 40 fermate dal punto di vista esegetico si sa troppo poco. Sono interessanti le soste di Ramses, la tappa di partenza, poi il deserto di Sin, il deserto del Sinai, il deserto di Tsin (Zin). Si distinguono, perciò, tre deserti, Sin, Sinai e Tsin. Sono menzionate anche le soste di Caserot, Kebon, Daba e altre. Quindi si dice: Siamo arrivati a Kadesh, che è nel deserto di Tsin, e poi siamo passati dalla parte di Or (Nm 33,36-37).

Vi è, dunque, l'itinerario per arrivare al deserto di Tsin. Non voglio entrare nella discussione riguardo la nuova proposta di identificare il monte Sinai con Har Karkom. Il deserto di Sin potrebbe essere presso Har Karkom. Anche il Sinai dovrebbe essere Har Karkom. Da qui alla località di Kadesh Barnea vi sono circa 100 km. Ieri con il pullman siamo transitati vicino alla frontiera egiziana e di fatto abbiamo percorso il tratto dal Sinai verso Kadesh Barnea.

Ripercorriamo alcuni episodi del libro dei Numeri. All’inizio, dopo la partenza dal Sinai, il popolo si lamenta (Nm 11,1-3), il Signore si adira e fa perire alcuni che si trovavano all'estremità dell’accampamento. Il popolo grida verso Mosè, Mosè chiede al Signore di placare la sua ira, e cos' avviene. Il fatto è narrato in tre versetti. Sappiamo che il popolo si era lamentato, ma non sappiamo perché. Il testo sacro presenta questa lamentela all'inizio del cammino attraverso il deserto, che il libro del Deuteronomio definirà “grande e spaventoso” (Dt 1,19; Dt 8,15). Nel capitolo 11 di Numeri non si parla soltanto del popolo di Israele, ma si dice che c’era anche “gente raccogliticcia”. Dal contesto emerge chiaro che insieme al popolo di Israele c’era qualcun altro. La prima lamentela perciò non è solo del popolo di Israele ma anche di coloro che erano vicini e camminavano con Israele.

Il secondo lamento (Nm 11,4.13) è a causa del cibo, dal momento che non c’era niente da mangiare. Mosè si rivolse al Signore, che intervenne facendo arrivare le quaglie in abbondanza. Il libro narra che il popolo mangiò carne per due giorni e alcuni del popolo morirono con la carne ancora in bocca. Il popolo desiderava il cibo come quando era in Egitto, voleva stare bene, e aveva paura di camminare nel deserto.

Comprendiamo la difficoltà di Mosè, che dice al Signore: “Devo portare questo fardello, non riesco a camminare con questo popolo” (11,12). Così il Signore istituì 70 uomini che aiutassero Mosè a guidare il popolo (11,16-17). Due di loro profetizzano fuori dalla tenda, nell'accampamento. Giosuè, allora, si lamentò con Mosè, chiedendogli di impedire loro di profetizzare. Ma Mosè rispose: “Sei tu geloso per me?” (11,29). In altri testi la stessa parola קנא, riferita ad Elia, è tradotta “zelante, fiero”. Quindi la risposta di Mosè potrebbe significare: “Sei fiero, zelante, per me?”, aprendo a tutti la possibilità di profetizzare. Giosuè sembra essere troppo ingenuo perché vuole impedire di profetizzare a coloro che non erano venuti con loro. Mosè, invece, allarga la visione e sembra affermare che i profeti non devono essere necessariamente suoi (di Mosè) seguaci, semmai Giosuè dovrebbe essere zelante per il Signore. Da questo evento comprendiamo che Giosuè si presenta come un servitore di Mosè, scrupoloso nel compiere ogni cosa richiesta da Mosè. L'evento successivo delle quaglie (11,31-35), quando il Signore punisce il popolo, accade presso Khibrot Taava, presso "le tombe della bramosia / dell'ingordigia". Il popolo cammina tra molte difficoltà.

Subito dopo sorge un altro problema. Questa volta tocca ai fratelli di Mosè, Miriam e Aronne (12,1-10). Tutto incomincia con Miriam che mormora contro Mosè e coinvolge anche Aronne. Sembra solo un lamento dei due fratelli, ma il Signore difende Mosè, li chiama, li punisce e Miriam diventa lebbrosa. Questo non è un lamento del popolo, ma delle guide: Mosè viene visto male dai fratelli, forse per invidia. Ma il signore conferma Mosè, perché egli non è come gli altri profeti, ha una visione particolare.

Il testo prosegue dicendo che si avvicinarono a Kadesh. Il libro presenta la topografia dell’itinerario, dal monte Sinai. Se lo si identifica con Santa Caterina, siamo a sud. Tutte le carte lo presentano così. Se pensiamo invece a Har Karkom siamo più a nord, più vicino a Kadesh Barnea. In questi monti, tra Kadesh Barnea e Har Karkom potrebbero essere situati questi due o tre eventi.

Arrivati a Kadesh Barnea c’è un altro peccato (capitoli 13-14), un grande e grave evento. Il Signore chiede a Mosè di inviare i dodici esploratori, per andare a vedere la terra, se sia buona, ampia, quali siano le città, ... Mosè dà delle indicazioni e li manda da Kadesh Barnea verso nord. Il testo narra che i dodici esplorarono la terra dal deserto di Tsin fino all’entrata di Chamot. C’è una presentazione bellissima, dal deserto di Tsin fino al nord. Poi, in dettaglio descrive la salita nella terra: dal Negev a Hebron, Ashkelon, ecc. Quando i dodici esploratori ritornano, danno la notizia che la terra è bella, ma c’erano uomini forti, i figli di Anak, e città forti (fortificate?). Dieci di questi esploratori confessano di avere molta paura, al punto che anche il popolo incominciò a temere. Caleb tentò di calmare il popolo, evidentemente impaurito da questa notizia. Il testo continua dicendo che Giosuè e Caleb dissero di non aver paura, che ce l’avrebbero potuta fare, perché: “il Signore è con noi”. I due fanno un rapporto positivo e fiducioso, mentre gli altri dieci lo fanno positivo quanto alla terra ma pieno di sfiducia e di paura. Creano così un’opinione comune. Hanno impaurito la comunità al punto che gli altri due non riuscivano più a calmarla. Il popolo voleva perfino "lapidarli". Non è chiaro se volevano lapidare Giosuè e Caleb oppure Mosè e Aronne. In quel momento il Signore scende, difende Mosè e Aronne insieme a Giosuè e Caleb e si adira, perché il popolo peccò contro la promessa. Di per sé è un peccato quasi più grave di quello del vitello d’oro, perché non è contro l’alleanza ma contro la promessa di Dio di dare quella terra al popolo. Invece il popolo impaurito aveva perso ogni fiducia e ogni speranza. Il Signore allora disse a Mosè: “Distruggo tutto il popolo e farò di te una nazione”. Qui rientra la figura di Mosè come intercessore che riesce a far cambiare idea al Signore parzialmente: il Signore farà perire soltanto tre generazioni. Dice: “dato che voi non volete entrare in questa terra, non avete più fiducia, finirete in questo deserto”. In questo caso non si tratta solo di una grande lamentela. Giosuè infatti dice: “perché fate ribellione”. Si sono, dunque, ribellati, hanno preso una decisione comune contraria alla promessa del Signore e affermarono: “Facciamoci un’altra guida, torniamo in Egitto”. Il Signore si adirò molto. Questo è il peccato di Kadesh Barnea, narrato anche in altri passi biblici. Questo peccato è paradigmatico perché non infrange l’alleanza, ma rifiuta la promessa, ossia impedisce di vivere fondati su quanto il Signore ha detto, indipendentemente dal fatto di essere vincolati in un'alleanza, e dovendo dimostrare soltanto una grande fiducia.

In seguito si narra della ribellione di Core con altri 250 uomini (16-17), che non è più di tutto il popolo. Sembra essere una ribellione del gruppo delle guide e contro Aronne, quindi una ribellione sia sacerdotale sia laica. Il Signore fece aprire una voragine nella terra che inghiottì i 250 con le loro famiglie.

A una lettura superficiale dei testi, sembra che il Signore uccida tutti i ribelli. Non credo però che sia questo l’insegnamento. Il testo vuole mostrare la fatica di un cammino verso il compimento della promessa. Questi sono sicuramente testi frutto della redazione sacerdotale, che insistono sulla promessa del Signore e sulla necessità di avere fiducia. E lo fanno anche in modo negativo: se smetti di avere fiducia e se non ti comporti bene con le guide o se vai contro le guide, sei condannato a morire.

Nel deserto di Tsin avviene l’ultimo grande problema, presso le acque di Meriba (20,1-11). Mosè insieme ad Aronne sono chiamati a ripetere il gesto compiuto in Esodo 17, prima dell’arrivo al Sinai. Mancava l’acqua e il popolo si lamentava con Mosè. Il Signore comanda cosa fare e Mosè esegue letteralmente, facendo scaturire l’acqua e dissetando il popolo. In Es 17,7 si dice: “E chiamò quel luogo Massa e Merìba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?»”. Di nuovo, non era l’acqua il problema, ma l’assenza di fiducia nel Signore. Ma il Signore quella volta non punì nessuno: prima dell’alleanza il Signore non punisce.

Nel libro dei Numeri si narra un episodio simile, accaduto però dopo il Sinai, dopo l'alleanza. Siamo ormai al quarantesimo anno di cammino, presso Kadesh nel deserto di Tsin. La generazione esodica era ormai morta, erano morti cioè quasi tutti quelli che erano usciti dall’Egitto. Anche allora non c’era l’acqua e il racconto procede in modo simile: il popolo ebbe una lite (riv) contro Mosè dicendo: “Magari fossimo morti quando morirono i nostri fratelli davanti al Signore! Perché avete condotto l'assemblea del Signore in questo deserto? ... E perché ci avete fatto uscire dall'Egitto?” (20,3-5). Probabilmente vi è il riferimento all’episodio di Core o a uno degli altri. Il testo non riporta la risposta di Mosè, ma dice che insieme ad Aronne si recano a consultare il Signore. Arrivano alla tenda e ricevono l’istruzione: “Prendi il bastone; tu e tuo fratello Aronne convocate la comunità e parlate alla roccia sotto i loro occhi, ed essa darà la sua acqua; tu farai uscire per loro l'acqua dalla roccia e darai da bere alla comunità e al loro bestiame” (20,8). Questo testo presenta molte particolarità e difficoltà. Si vuole descrivere il peccato di Mosè e di Aronne. Se si legge il testo da vicino e con attenzione, Mosè ha eseguito l'ordine del Signore senza fare esattamente quanto il Signore gli aveva indicato. Il Signore gli aveva detto di parlare alla roccia, ma lui e Aronne hanno parlato al popolo; il Signore non gli aveva detto di colpire la roccia, ma Mosè colpì la roccia per ben due volte. Di conseguenza il Signore disse loro in privato che non sarebbero stati loro ad introdurre il popolo nella terra promessa, perché “non avete creduto in me, in modo che manifestassi la mia santità agli occhi degli Israeliti” (20,12). La sanzione data a Mosè e ad Aronne è molto severa. L'errore fu così grande che il Signore tolse loro la guida del popolo. Il testo dice che hanno colpito due volte la roccia. Probabilmente hanno colpito con decisione una prima volta e l’acqua non usciva. Dicono al popolo: “Ascoltate voi ribelli. Noi forse faremo uscire l’acqua da questa roccia?”. Sappiamo che la generazione del popolo era nuova e non aveva visto cosa era avvenuto nel miracolo precedente l’alleanza. Mosè non ha detto una cosa fondamentale: che cioè il Signore farà uscire l’acqua dalla roccia. Quindi non ha santificato il Signore, non lo ha glorificato. Si tratta di un grave peccato per una guida come Mosè. Si può parlare del peccato paradigmatico della guida, che deve in ogni momento essere in grado di dare fiducia, di provare per prima cosa che il Signore è la verità, che lui fa i miracoli. Si nota una grande differenza tra le parole di Giosuè e Caleb e quelle di Mosè e Aronne. Giosuè e Caleb, al ritorno dell'esplorazione, avevano esortato a non preoccuparsi e a non ribellarsi, a motivo della presenza del Signore in mezzo al popolo. Mosè e Aronne, alla fine del cammino nel deserto, non hanno questo atteggiamento. Una vera guida deve sempre puntare al Signore ed essere sempre in grado di accrescere la fiducia nelle promesse del Signore. Il popolo però non comprende e non realizza che Mosè e Aronne avevano peccato.

Gli episodi del deserto sono esemplari e mostrano come una persona possa ribellarsi al Signore. La punizione segue sempre, come ammonimento per le generazioni future sul comportamento da tenere nei confronti del Signore dopo l’alleanza. Prima dell’alleanza il Signore non punisce, ma dopo interviene. Nel cammino di una comunità si verificano spesso questi peccati e mormorazioni. Da questi testi possiamo, dunque, ricavare degli insegnamenti per noi stessi.

Dopo aver aggirato il territorio di Edom, il popolo giunse nella piana di fronte a Gerico. Nelle steppe di Moab il libro del Deuteronomio presenta le ultime istruzioni di Mosè. Dopo aver rinnovato l’alleanza nella terra di Moab, ai capitoli 31-33 parla il Signore, che era rimasto in silenzio nei primi 30 capitoli del libro. Ci sono cinque discorsi del Signore, che coinvolgono anche Giosuè, perché Mosè aveva rivelato al popolo che lui non sarebbe entrato nella terra (Dt 4,22). Il popolo viene istruito da Mosè che sarebbe stato Giosuè ad introdurlo nella terra promessa, fatto che sarà confermato dal Signore nella tenda (Dt 31,23).

Alla fine del Deuteronomio e del Pentateuco si assicura che il popolo all’ingresso nella terra non potrà vagare come un gregge di pecore senza pastore. Già Mosè lo aveva capito e aveva chiesto una guida al suo posto (Num 27). Il Signore gli aveva indicato Giosuè, sul quale Mosè avrebbe dovuto imporre le mani. Sul Nebo Mosè presenta questo evento e introduce Giosuè. Mosè eseguirà alla lettera le indicazioni del Signore e non commetterà più l’errore di Massa e Meriba.

Dopo la morte di Mosè, sorge Giosuè, uomo pieno di spirito di sapienza (Dt 34,9-12). Nel racconto del passaggio del Giordano si sottolinea il ruolo di guida di Giosuè: come Mosè guidò il popolo attraverso le acque del mar Rosso, così Giosuè lo guidò attraverso le acque del Giordano (Giosuè 4). Il passaggio del Giordano è descritto in modo preciso (Gs 3-4), come una processione che procede. Dal Giordano sono raccolte delle pietre per costruire un altare a Galgala, sul quale si rinnoverà l’alleanza.

Il cammino del deserto termina dopo il passaggio del Giordano, dopo aver fatto la circoncisione e aver celebrato la Pasqua. Con la cessazione della manna finisce il cammino nel deserto. Qui inizia una nuova era: a Giosuè appare un capo dell’esercito del Signore che segna l'inizio dell’epoca della conquista della terra (Gs 6-12) e della successiva spartizione della terra (Gs 13-19).

Anche la celebrazione della Pasqua segna un nuovo inizio: come segnò l’inizio dell’uscita dall’Egitto, adesso segna il compimento della liberazione. Il Signore, infatti, aveva detto a Mosè nel roveto: sono sceso per liberare il popolo dall’Egitto e per portarlo nella terra, una terra nella quale scorrono latte e miele. Si tratta, però, anche di una terra abitata da altre nazioni, perciò la liberazione non si compie nel deserto ma con l’ingresso nella terra. Per cui la celebrazione della Pasqua dopo 40 anni, appena entrati nella terra, è il compimento della promessa: ecco io vi faccio uscire da una terra di schiavitù e vi faccio entrare nella terra promessa.